Il filtro della contemplazione

Composizione con schema grafico del contenuto testuale.

Se immaginiamo il concreto (secondo l’accezione severiniana del termine), esterno al cerchio finito dell’apparire, come fosse una luce bianca, e il cerchio come un filtro cromatico: ponendoci all’interno del cerchio, non vedremmo la luce bianca ma un singolo colore.

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La frequenza cromatica del singolo colore visibile all’interno del cerchio, non ha nulla di più né di meno di sé stessa quand’era mescolata con le infinite altre frequenze cromatiche che compongono la luce bianca. Se proprio qualcosa deve essere aggiunto alla frequenza, affinché si manifesti all’interno del cerchio finito, non può che essere – relativamente alla metafora ottica – la presenza del filtro.

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Ecco che il cerchio finito dell’apparire non è un alcunché di accessorio, nella economia dell’essere eterno, ma è necessario affinché il concreto, l’essere, possa manifestarsi a sé stesso, possa contemplarsi; anche se, per forza di cose, ciò può realizzarsi solo nella forma dell’astratto, cioè di un essente (colore, nella metafora) alla volta, distinto dagli altri essenti e in progressione con essi.

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All’interno del cerchio finito, l’essere apparirà a sé stesso nella modalità progressiva, diacronica dei suoi aspetti; all’esterno del cerchio finito dell’apparire, invece, l’essere apparirà a sé stesso (grazie alla presenza del cerchio finito dell’apparire), non come mescolanza indistinguibile (luce bianca, nella metafora), ma nella modalità distintiva, sincronica dei suoi aspetti, o essenti (colori).

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Marco Rossi della Mirandola (08/09/24).

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