Ποίησις: Amor del vero

Il nome ποίησις (creazione poetica) significa propriamente il fare dal nulla (Platone, Simposio, 205, b).

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L’evento dell’apparire è certamente reale, ma il suo contenuto – ciò che appare – non lo possiamo ritenere altrettanto reale, senza incorrere nel “ex nihilo nihil”. Se ciò che appare fosse reale, se fosse reale (corrispondesse all’eterna incondizionata infinitezza, che le è propria) la sua diveniente novità, dovrebbe scaturire dal Nulla. L’eterno infinito appare nella forma della durata temporale e finita: codificata, condizionata da protocolli rispondenti ad una particolare Civiltà e cultura.

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Questa considerazione acquista particolare rilievo quando si fa riferimento alla creazione poetica, l’idea che il poeta produca il nuovo.

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È dunque un illuso, colui che si crede poeta?

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L’artefice, simpliciter, è chiaramente un illuso nichilista, egli appartiene alla “terra isolata”, non coglie la follia di chi si crede isolato dal Tutto.

Colui invece che si vede saldamente unito al Tutto, in Unità necessaria e indissolubile amalgamato con esso, nell’opera poetica che gli appare, coglie un alcunché di eternamente appartenete al Tutto e, in quanto tale, appartenete a egli stesso: essendo, egli stesso, tutt’uno con il Tutto Uno.

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L’artefice, simpliciter, è un illuso nichilista, ma per altre vie, per altri versi e altri registri, il vero poeta e il vero filosofo, non sono affatto né illusi, né nichilisti.

Il Poeta – per così dire, ultra-nichilista, post-tecnologico, severiniano – non produce ex novo, tuttavia, non giunge a lui da lontano, l’opera che egli porta alla manifestazione.

L’opera del Poeta gli giunge da sé stesso, da quel Tutto originario e concreto di cui egli stesso è un aspetto, sa di appartenergli integralmente.

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Vedetta della Sorgente, “artefice” dell’inevitabile, il Poeta-filosofo vuole il necessario: il Senso della necessità, è la sua stessa volontà; l’ascolto del destino, l’Amor del vero muove il suo poetare.

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Marco Rossi della Mirandola (06/03/25).