Destino = fato?

“La verità vi renderà liberi” Gio. 8,32

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Chi è nella verità è libero, nel senso che non dipende dal relativo, dalle relazioni del mondo, la verità è assoluta, eterna, incontrovertibile.

Chi è nel vero impugna questa “spada invincibile”, con certezza prevale su ogni tentativo di assoggettarlo da parte dell’errore.

La verità è predefinita e necessaria, ab eterno, non puoi sgarrare con essa, tuttavia allo stesso tempo non si dà una libertà che superi quella resa dalla verità.

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Colui invece che fosse libero (nel senso nichilistico del termine), sciolto dalla verità, in opposizione ad essa, sarebbe nel falso, sarebbe un falso libero, un illuso, non un vero libero.

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Nel cuore dell’uomo è come albergassero due dimensioni: una orizzontale e una verticale. Non v’è alcun sentore di libertà nell’essere sciolti dalla dimensione verticale, sordi al richiamo dello “zenit”, la voce del Logos comune, l’universale ordinamento.

Ci si sente liberi, invece, quando, nell’ascolto di quella voce, non ci si trova ostacolati dal mondo circostante – la dimensione orizzontale del relativo – nel nostro voler realizzare l’intendimento di quella ragione, di quel Logos, comune alla totalità del Reale.

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Per essere veramente libero, un vero libero, è necessario aderire alla verità, corrispondere alla necessità delle cose, a ciò che non può non essere, che non può non essere vero. Per non essere soggetti al fato, e non soffrire di un determinismo fatalistico, è necessario porre orecchio al destino, il Destino della necessità, il Destino “messaggero” del vero.

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Note:

Nell’immagine: Le tre Parche, figure cinquecentesca del Fato.

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Marco Rossi della Mirandola (10/09/24).