Dolore: essente eterno?

Composizione grafica con immagine di Franco Bertozza che mette il dito sulla fiamma di un accendino.

Per una soluzione del quesito posto da Franco Bertossa

YouTube: Severino sbaglia? (2021).

I questo videoclip Franco Bertossa esprime la sua perplessità circa l’eternità dell’essente. Come evidenza tangibile, a riprova della sua affermazione, riporta l’esempio dell’essente del dolore, in particolare il bruciore provocato dalla fiamma di un accendino.

Due osservazioni:

1) Si tratta di una negazione. Colui che nega, al tempo stesso afferma (vedi struttura fenomenologica della “obiezione”: La struttura originaria, E. Severino, Adelphi, 1981, p.107).

2) Ci si avvale della “evidenza” di una sensazione (il bruciore), di un dato assimilabile a quello offerto dai cinque sensi.

In sintesi Franco Bertossa afferma: “Al solo scopo di sostenere l’eterno apparire dell’essente, si ricorre a una magia, una lambiccata teoresi, creata per sostenere una concezione precostituita, contro ogni attuale e tangibile evidenza.”

Obiezione: Franco Bertozza pare non tenga conto che la magia si annida proprio in quel particolare tipo di evidenza che è l’“evidenza” offerta dall’esperienza dei cinque sensi (vedi velo di Maya). I sensi… Da sempre e universalmente riconosciuti come testimoni fallaci della realtà: elargitori della illusione, loro sì: i magici strumenti del “mago”.*

L’apparire del dolore attesta che esso è un essente, dunque un eterno (secondo l’interpretazione severiniana del Principio di identità), ed appare eternamente nel cerchio infinito dell’apparire. Tuttavia il suo eterno apparire nel cerchio infinito, non è assimilabile al suo apparire temporaneo nel cerchio finito dell’apparire, il luogo dell’io empirico e di tutte le sue possibili esperienze fenomeniche.

Che l’essente eterno, infinito e concreto, appaia eternamente nel cerchio infinito, appare al nostro senso della necessità, alla Immediatezza Logica, non alla Immediatezza Fenomenologica dei cinque sensi, finita e astratta. Non è possibile che l’essente, concreto, eterno e infinito, appaia, nel cerchio finito dell’apparire, nella forma della Immediatezza Fenomenologica, cioè sia esperibile dall’io empirico. Folle sarebbe l’io empirico che lo volesse esperire: è follia, volere l’impossibile.

Non si tratta di lambiccata teoresi o di espediente magico, ma del senso della necessità, il solo senso che disponiamo capace di smascherare la magia, questa sì, del mondo sensibile ed esperibile coi cinque sensi.

Gli aspetti che gli essenti mostrano di sé, al loro apparire nel cerchio infinito, non sono certo gli stessi che i medesimi essenti mostrano al loro apparire nel cerchio finito, cioè al loro offrirsi ai cinque sensi, all’esperienza dell’io empirico. Che si dia un cerchio infinito dell’apparire e che gli essenti appaiono eternamente in esso, non appare ai cinque sensi dell’io empirico (contenuto del cerchio finito dell’apparire), bensì al senso della necessità: l’Immediatezza Logica.

Pare che per Franco Bertossa il dolore non sia esperienza riconducibile a una rappresentazione, come se le rappresentazioni, in generale, non comportassero anche una componente emozionale (piacere, dolore, ecc.).

Schopenhauer distingue fra volontà e rappresentazione (vedi Mondo come volontà e rappresentazione), vede nella volontà un ché d’irriducibile alla forma della rappresentazione, ad esempio la volontà non si manifesta sottoforma di immagine. Fermo restando che la volontà non presenta i connotati della rappresentazione (sia visiva che uditiva, tattile, ecc.) è innegabile che anch’essa appare. Nell’insieme delle cose che appaiono vanno comprese non solo le rappresentazioni sensibili, ma anche: volontà, desideri, sogni, bisogni, piaceri e dolori. Così come appare la volontà (inviataci dal destino) appare pure il piacere e il dolore.

Tutto ciò che s’affaccia nel cerchio finito dell’apparire, non è la verità del concreto infinito, non è il disvelamento del Mistero del concreto infinito. È astratto, finito, illusione, follia, fede: magia! Lo “schermo” del cerchio finito dell’apparire è velo di Maya, interpretazione, filtro magico.

Tutto quanto ci appare, tutto ciò che conosciamo del mondo, compresa l’esperienza che abbiamo del nostro corpo, con i suoi piaceri e i suoi dolori, tutto quanto è il contenuto della nostra conoscenza, della nostra consapevolezza, oggetto di pensiero del nostro pensiero. Non ci è possibile assurgere ad esperienze esterne al cerchio finito dell’apparire, accedere a conoscenze esterne al perimetro della nostra conoscenza. Non ci è possibile conoscere alcunché che non sia contenuto nella nostra conoscenza, questo coacervo di significati e significanti che chiamiamo mondo: sia mondo “esterno”, comprese le rappresentazioni sensibili del nostro corpo, sia mondo “interno”, comprese la volontà, i piaceri e i dolori (fisici, psichici e morali).

Note:

* Nella Upanisad vedica Svetasvatara Upanisad, l’illusione della māyā è ritenuta essere l’attività propria del mago, il grande Signore imperituro. In un passo si legge: “Il mago (mayin) crea tutto questo universo e in ciò l’altro (l’anima individuale) è tenuto dai lacci dell’illusione (māyā). Bisogna dunque sapere che l’illusione è la natura e il grande Signore (mahesvaram) è il mago. Tutto questo mondo è compenetrato di entità che sono particelle di lui.”

Marco Rossi della Mirandola (27/08/24).

Interesse suscitato dall’Articolo sul web


La versione Post del presente Articolo ha suscitato un particolare interesse

nei seguenti luoghi online (Pagine e/o Gruppi Facebook e/o Siti eventuali):

  • 1 –Pagina facebook Vascello Universo -Pubblicato il 30/08/24 -n° Mi piace -n° Commenti -n° Condivisioni.
  • 2
  • 3

Tag (cliccare su uno dei seguenti tag per visualizzare gli Articoli che trattano dell’argomento).



Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *