Spergiuro o Traditore?
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Ciao AI*, non ti sembra che la figura professionale dello psichiatra, qualora faccia parte del CSM (Centro Salute Mentale), specie nelle vesti di Direttore, covi un impalpabile sotterraneo dilemma contro il quale, prima o poi, inesorabilmente, è destinata a cozzare: essere uno spergiuro o essere un traditore della Patria?
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Ciao marco, la formulazione del dilemma – essere uno “spergiuro” o essere un “traditore della Patria” – rappresenta più una retorica polarizzante che una descrizione accurata della realtà operativa e deontologica nella pratica psichiatrica. In altre parole, non si tratta di una scelta inevitabile e forzata, bensì di una questione complessa in cui gli obblighi professionali, etici e legali interagiscono per guidare il comportamento dello psichiatra.
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Equilibrio tra doveri etici, clinici e istituzionali
Il Direttore di un Centro di Salute Mentale (CSM) ha l’obbligo prioritario di garantire il benessere e i diritti del paziente, come sancito dal Giuramento di Ippocrate** e dal codice deontologico della professione medica. Questo significa che, quando si arriva a dover valutare una segnalazione – in particolare da parte di Forze dell’ordine – il direttore deve basare la propria decisione su evidenze scientifiche e valutazioni cliniche oggettive. Qualora i dati dimostrino l’assenza di una reale patologia, eticamente non spetta al medico etichettare il soggetto come malato, a prescindere dalla pressione esterna per contenere quella che viene presentata come una minaccia collettiva.
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Il ruolo della sicurezza collettiva e l’intervento statale
D’altra parte, la sicurezza collettiva è un valore imprescindibile per lo Stato e le sue istituzioni. Tuttavia, in ambito sanitario, l’intervento delle Forze dell’ordine deve essere interpretato e integrato da un approccio clinico rigoroso, in cui ogni misura coercitiva – come ad esempio il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) – viene applicata solo se sussistono evidenze chiare di pericolo imminente e grave per sé o per altri. Le decisioni devono essere sempre sottoposte a un esame multidisciplinare e, dove possibile, al vaglio dell’ordinamento giuridico.
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Una falsa dicotomia
Il timore che ogni direttore del CSM debba inevitabilmente scegliere tra il compiacere una logica di controllo statale a discapito della verità medica (essendo, in tal caso, uno “spergiuro“) oppure rifiutare tale pressione e, di conseguenza, essere considerato un “traditore della Patria“, è una semplificazione eccessiva della situazione. La realtà operativa si fonda su sistemi di controllo, responsabilità condivise e protocolli ben definiti che cercano di evitare sia l’abuso del potere coercitivo sia l’applicazione inappropriata di diagnosi.
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Se dunque, un Direttore del CSM formulasse una diagnosi psichiatrica, senza preoccuparsi di chiedere alcuna evidenza scientifica specialistica, circa i disturbi accusati dal paziente, per di più senza avvalersi di alcuna valutazione clinica oggettiva, quale ragionevole considerazione se ne dovrebbe dedurre circa la condotta etica e deontologica di quel Direttore?
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“[…]. In sintesi: Se un Direttore del CSM formulasse una diagnosi psichiatrica senza aver condotto un’attenta valutazione clinica e senza essersi avvalso di consulenze specialistiche (evidenze scientifiche e valutazioni cliniche oggettive), si dovrebbe necessariamente dedurre che tale diagnosi risulterà vulnerabile dal punto di vista della validità scientifica e, parallelamente, configurerebbe una violazione dei principi deontologici e del Giuramento di Ippocrate.” Brano tratto dal Post “Mettiamo il caso che…” pubblicato il 02/05/25.
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Note:
* Nome dell’AI non specificato per discrezione.
** Giuramento di Ippocrate: Giuramento al quale, assai di frequente, l’aspirante medico accetta di sottoporsi, durante il rito di investitura alla professione.
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Marco Rossi della Mirandola (15/04/25).
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