La divina Ignoranza

Una cosa è l’ignoranza ricettiva del fanciullo: ignoranza sveglia, attenta, sempre aperta alle inesauribili meraviglie del mondo, di quel mondo che va scoprendo intorno a sé, giorno dopo giorno.

Altra cosa è l’ignoranza del dotto indottrina­to, che non vede oltre i graffiti che imbrattano la facciata interna della “Muraglia”: quella roccaforte rassicurante, fatta di regole calcolate e di formule ben formate, che ogni dotta Dottrina si propone di costruire e fortificare; e all’occorren­za potersene servire come di un carme incantatore.

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Oltre le “Mura” campeggia l’esile sapientissima ignoranza del fanciullo: inarrendevole, sempreverde nudità. Ancor pri­ma che “dotta ignoranza”,¹ divina Ignoranza: la sola vera speranza! Quella sacra nudità, archetipa e incodificabile, che idealmente accomuna tutti gli uomini del pianeta; oltre i co­dici e le convenzioni, al di là delle culture e delle religioni.

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Con la sua “dotta ignoranza” il Cusano par che serbi una fiduciosa illusione per la conoscenza. La conoscenza sarebbe una sorta di scala infinita, che tuttavia avvicinerebbe sem­pre più a Dio.

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La divina Ignoranza, invece, è radicalmente disillusa; ha capito che ogni conoscenza è sempre, impre­scindibilmente un codice e, in quanto tale, è una barriera, un sipario per colui che abbia a cuore la vicinanza a Dio. Un codice, una barriera, un sipario, un “velo di Māyā”.

Solo una divina Ignoranza, una cristallina fede a occhi chiusi, avrà il potere d’impartire un eroico precetto come questo: “Dite ciò che in quel momento vi sarà dato”.²

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Note:

1) Concetto caro a Niccolò Cusano, teologo e filosofo tedesco del XV sec.

2) Mr 13,11.

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Marco Rossi della Mirandola (2022).

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Brano tratto da Il Padano – Gruppo Albatros Editore, Roma 2022; pag. 177.