Il gemmare dell’idea (apparire dell’essente eterno, secondo la terminologia di Emanuele Severino) nell’attimo immediato della folgorazione.
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Per una interpretazione del dipinto La tempesta del Giorgione, naturalmente non s’intende sostenere di aver colto perfettamente nel segno l’intensione del Giorgione, ma ci si propone di osservare la cosa per ciò che mostra, di per sé stessa, memori della storia e della critica d’arte e della pratica della pittura, ma con occhio semplice e disposto al sogno.
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Elementi del dipinto:
– il lampo: il flash immediato dell’apparizione,
– il soldato: osservatore-Iride della visione,
– il neonato: l’oggetto che sorge, viene alla luce, appare,
– il fiume: separa il mondo storico empirico, ma ridotto in rovina, dallo scenario della visione del soldato. Di questa apparizione il il bambino pare essere il perno, come l’origine di una spirale a forma di “6”. Questa linea a spirale ha il centro nel bambino, si incarna poi nella madre e, seguendo il fiume, si conclude nel lampo.
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Si può intravvedere nel bastone, rigido e verticale, del soldato, il corrispondente del bambino per quanto riguarda il mondo storico, in rovina, sull’altra sponda del fiume. Qui la verticalità, rigida, spoglia e senza vita, domina tutto quanto: il bastone, il soldato, le colonne, il rudere, e con geometrica perfezione, l’albero spoglio dietro ai ruderi. Al contrario il mondo della visione è verdeggiante, muri illuminati, gioiosi, senza ruderi, vita nascente; al suo vertice (sul tetto più alto presso il fulmine) si nota poi un uccello, essere alato, trait d’union fra terra e cielo.
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Il bastone eretto, a mo’ di scettro e/o di simbolo fallico, è un chiaro segno della centralità del potere circa il mondo storico empirico, che si spezza (come indicano le colonne) ma non si piega; il bambino, che fa da contraltare, è simbolo di vita (flessibile come la spirale, che si piega ma non si spezza, sempre verde) immortale, eterno essente dell’apparire. C’è poi da notare che mentre la spirale a destra del fiume richiama la forma del numero 6, la verticalità che risalta nella parte sinistra fa pensare al numero 1, si tratterebbe dunque di un 16, vedi caso l’opera è datata proprio all’incipit del secolo 16° (1503-4 circa). Che dire… è possibile che in quest’opera Giorgione abbia inteso lasciare ai posteri un’istantanea del primo albeggiare del XVI secolo.
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Morale della favola: il potere, che domina un mondo spoglio e in rovina (sponda arida del fiume), osserva nostalgico il Paradiso, il Giardino perduto, il Luogo della vita, rigoglioso, sempre in fiore, dell’atra sponda.
Il volere individuale, dispotico, sordo e rigido, da un lato; e la Volontà cosmica, universale della vita sempre nascente, dall’altro.
Si potrebbe obbiettare che il bambino, figlio di donna, dovrebbe trovarsi dalla parte del mondo mortale e caduco; ma anche Gesù, Figlio dell’Uomo – incarnato – nasce da una donna… “La morte è una livella” sosteneva Totò, pure la nascita, se è in carne e d’ossa, è una livella.
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In altri termini l’oggetto della visione non intende essere un mondo metafisico, disincarnato, soprannaturale; bensì la vita, nuda e cruda della natura, la vita virginale, sempre in fiore, sempiterna, nel candore della sua purezza. L’Eterno, se proprio lo vogliamo indovinare, sta in alto, oltre l’uccello: il Cielo, squarciato, dal lampo, la folgore dell’eterno apparire immediato.
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Marco Rossi della Mirandola (08/08/23).

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