Sul “Ribaltare la frittata”

Composizione grafica con frammento del testo e figurine decorative.

Spesso l’operazione non riesce alla prima: ribaltare la frittata… Vedere le cose da dietro le quinte, dal punto di vista dell’eterno, ma il gioco val bene la candela.

Si tratta di una “palestra” che permette di affinare la nostra visione della realtà, renderci conto dei condizionamenti a cui siamo soggetti: si tratta del “folle” compito, specifico, del vero filosofo. Pur di tener per ferma una verità teorica, giungere a negare l’evidenza tangibile…

Sarebbe facile fare l’ennesima volta l’esempio dell’evidente tangibile movimento del sole intorno alla terra, che la verità teorica nega, e alla fine diamo tutti ragione alla verità teorica…

Altri esempi, che mettono in crisi l’evidenza tangibile, potrebbero essere le innumerevoli illusioni ottiche, fornite dalla psico-neurologia.

Cosa dire poi delle considerazioni sulla struttura fisica dell’atomo, che sarebbe in grandissima parte composto di spazio vuoto. Sulla base del senso comune (che si appella – per l’appunto – all’evidenza sensibile e tangibile) non si spiega il motivo per il quale i corpi solidi non si compenetrino con estrema facilità, dato che sostanzialmente son “fatti” di spazio vuoto. Esistono particelle, tipo i neutrini, che penetrano indifferentemente per intero tutto il Gran Sasso…

Ma il filosofo non vede riposta in questi argomenti, la sua forza.

Il filosofo, a mio avviso, non s’interroga sulle applicazioni del pensiero, ma si arrovella intorno alla natura stessa di questo “mago prestigiatore*” conosciuto come pensiero, che da sempre affascina tutti quanti con le sue abilità istrioniche illusionistiche.

Per fare un esempio, se guardo questa penna che vedo sul tavolo, so – senza ombra di dubbio – che “colui che vede” la penna è il mio pensiero; l’occhio guarda ma è il pensiero che vede. La sola penna che mi è possibile vedere, è quell’oggetto di pensiero, che il mio pensiero si è “forgiato” (sulla base della mia cultura), e che il mio pensiero medesimo mi offre: vede. Solo questa è la penna (ciò che conosco come penna) di cui posso affermare l’esistenza, il suo apparirmi: l’oggetto di pensiero, che si trova nella mia mente.

Questo oggetto di pensiero mi viene offerto “magicamente” dal pensiero stesso, nella forma della proiezione. Ecco che io vedo “questa penna sul tavolo”, esattamente davanti a me (fuori di “me”), sul tavolo. Quale magia intrigante, misteriosa e inestricabile è mai questa? Quale mago prestigiatore potrà mai egua­gliare il potere metamorfico e la forza illusionistica di questo mago formidabile, davvero fenomenale, che è il mio pensie­ro, che è il nostro pensiero?

Non vi sono altre penne nell’universo mondo, oltre quelle manifeste al pensiero (di coloro che sanno cos’è una penna). Cosa si trovi, realmente, all’esterno del pensiero, oltre il cerchio finito dell’apparire, è ignoto al pensiero: un puro, impenetrabile Mistero.

“Attendono gli uomini, quando sian morti, cose che essi non sperano né suppongono” Eraclito, Frammento 27. “Ma sono così attesi, perché già da vivi, e da sempre, sono ciò che non sperano e non suppongono di essere” Emanuele Severino.

Quanto detto della penna e del pensiero, è un paradigma che riguarda tutti gli oggetti conosciuti, che affollano l’esterno, quell’esterno che chiamo mondo. Il mio stesso corpo fa parte degli oggetti che affollano il mondo esterno: ma esterno a cosa (se anche il mio corpo è collocato all’esterno, nel mondo esterno)?

È chiaro che l’esterno-al-pensiero (il vero esterno), non è quell’esterno che chiamo mondo (proiezione del mio pensiero, nel quale si colloca anche il mio corpo). Ecco che appare evidente che ciò che comunemente viene inteso come esterno, cioè il mondo, in realtà non può essere che una “stanza” del mio stesso pensiero (ciò che in Severino viene definito “un contenuto del cerchio finito dell’apparire”).

Il mio corpo mi appare, appare al pensiero, alla coscienza, alla stregua di qualunque altro oggetto che arreda il mondo. Non solo, assieme agli oggetti appaiono anche le relazioni fra gli oggetti.

Ciò che si trova all’esterno del cerchio finito dell’apparire, è inconoscibile, un Mistero. Non mi è possibile accertare che questo impensabile inconoscibile esterno al cerchio finito dell’apparire, sia affollato di “penne”, di “alberi”, di “teste umane” e di “teste umane che cozzano contro alberi, invece di compenetrarli”. Tutte queste cose e queste vicissitudini riguardano l’interno del cerchio finito dell’apparire: una “stanza” pregna di fumo e illusione, dove il vero (l’eterna vera realtà) è velato.

Note:

* Con “mago prestigiatore”, intendo l’attività del prestigiatore illusionista, non la credenza magica primordiale, neppure una qualche forma d’improbabile esoterismo magico, che a tutt’oggi raccoglie proseliti. L’unica “magia” a cui faccio riferimento è quella rappresentata simbolicamente da Maya, nel concetto schopenhaueriano di “velo di Maya”.

Nella Upanisad vedica Svetasvatara Upanisad, l’illusione della māyā è ritenuta essere l’attività propria del mago, il grande Signore imperituro. In un passo si legge: “Il mago (mayin) crea tutto questo universo e in ciò l’altro (l’anima individuale) è tenuto dai lacci dell’illusione (māyā). Bisogna dunque sapere che l’illusione è la natura e il grande Signore (mahesvaram) è il mago. Tutto questo mondo è compenetrato di entità che sono particelle di lui.”

Marco Rossi della Mirandola (23/10/25).

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