Qualora al corso di un fiume fra i monti, dovesse capitare un avvallamento, le sue acque ristagnerebbero. Giunto a quel punto, se subito trovassero uno sbocco, subito le sue acque defluirebbero. Si sarebbe formato un piccolo accumulo, una pozzanghera appena, senza alcuna importanza. Se quelle acque, invece, non fossero così fortunate da trovare subito uno sfogo, non potrebbero defluire: si accumulerebbero e si accumulerebbero.
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Inevitabilmente esse si alzerebbero di livello fino a quando, finalmente, non pervenissero allo sbocco sperato. Solo allora lo sfortunato fiume potrebbe levarsi dall’impiccio e finalmente riprendere il suo corso naturale. Ma… ecco che, dietro di sé – quale meraviglia, quale splendore – un grande lago: lo specchio del cielo! Dono divino… Un’inaspettata magia del fato.
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E… “Non c’è fiume che non giunga al mare” arguisce l’aforisma Zen.
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Morale della favola: la sfortuna, la caduta, la presente crisi potrebbero essere – a ben vedere – un aureo auspico, autentico motivo di speranza, primiera avvisaglia di una grande meraviglia a venire.
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Marco Rossi della Mirandola (19/02/21).

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